Primo giorno di vacanza.
Anche quest'anno la scuola è finita. Sembrano frasi fatte, che si ripetono ogni anno regolarmente, ma questa è la verità: anche quest'anno è volato. Vo-la-to.
Il post di ieri ha suscitato tante belle e gratificanti risposte in voi lettori, risposte che mi danno la dimensione delle emozioni.
Già, le emozioni.
Ieri una bimba, che andrà in prima primaria e che solitamente è briosa e frizzante come una bibita estiva, è rimasta quasi tutto il giorno accanto a noi insegnati. Con una scusa o con l'altra non si schiodava dalla seggiola piazzata fra di noi, e anche a invitarla ad andare a giocare non c'era verso di smuoverla.
«Voglio rimanere qui. Io non voglio andare nell'altra scuola».
Insomma, era triste, questa è la parola giusta (non bisogna temere di chiamare le cose col loro nome). Anche i bambini, man mano crescono, cominciano a dare un nome a ciò che si muove dentro di loro.
Arrivano a tre anni e piangono perché vogliono, giustamente, la mamma. E se chiedi loro perché strillano e si dimenano ti rispondono semplicemente: «Voglio la mamma» e istintivamente, convulsamente, senza tanti preamboli, buttano fuori tutta quella loro disperazione, tutto quel loro rifiuto.
A quattro anni non strillano più per la mancanza momentanea della mamma, magari lo fanno perché vogliono il giocattolo che ha in mano il compagno, e senza tanta misericordia se lo prendono, il giocattolo, costi quel che costi. Ma a cinque-sei anni il bambino comincia ad analizzare, anche se in modo ancora molto rudimentale, il perché di quelle sensazioni, emozioni di gioia o di tristezza, di perdita o di abbandono, di desiderio o di rifiuto che brucia dentro di loro ed è allora che incominciano a percepire la sofferenza, il dolore, quel mondo altro-da-sé. Insomma, a quest'età il bambino incomincia a crescere fuori dal suo egocentrismo primario. Crescere è diventare sempre più consapevole di ciò che ti accade dentro. Si passa dall'essere un individuo estremamente istintivo e incontrollato a diventare un individuo sempre più riflessivo e controllato. Ma crescere è anche aprirsi a nuove avventure, nuove esperienze. E dunque... evviva il diventare grandi.
A proposito, a quella bimba ho ricordato che era del tutto normale sentirsi un po' tristi perché si lasciava la scuola, la maestra e i compagni che si conoscevano da tanti anni (per un bimbo di sei anni, tre anni sono tanti), ma che avrebbe conosciuto un'altra maestra che le avrebbe insegnato tante bellissime cose che Sinforosa non conosce nemmeno e che avrebbe incontrato tanti nuovi compagni con cui si sarebbe divertita tantissimo e poi, le ho detto:
«... verrai a trovarci e così ti farò conoscere i bimbi nuovi».
«Ma dopo loro si siedono sulle nostre panchine?».
«Certo. Quando sei arrivata tu e avevi tre anni, anche tu ti sei seduta sulle panchine dove si erano seduti altri bambini».
«Quelli che andavano in prima?».
«Sì, quelli che andavano in prima, come te, adesso». E mi ha abbracciato.
sinforosa castoro
Anche quest'anno la scuola è finita. Sembrano frasi fatte, che si ripetono ogni anno regolarmente, ma questa è la verità: anche quest'anno è volato. Vo-la-to.
Il post di ieri ha suscitato tante belle e gratificanti risposte in voi lettori, risposte che mi danno la dimensione delle emozioni.
Già, le emozioni.
Ieri una bimba, che andrà in prima primaria e che solitamente è briosa e frizzante come una bibita estiva, è rimasta quasi tutto il giorno accanto a noi insegnati. Con una scusa o con l'altra non si schiodava dalla seggiola piazzata fra di noi, e anche a invitarla ad andare a giocare non c'era verso di smuoverla.
«Voglio rimanere qui. Io non voglio andare nell'altra scuola».
Insomma, era triste, questa è la parola giusta (non bisogna temere di chiamare le cose col loro nome). Anche i bambini, man mano crescono, cominciano a dare un nome a ciò che si muove dentro di loro.
Arrivano a tre anni e piangono perché vogliono, giustamente, la mamma. E se chiedi loro perché strillano e si dimenano ti rispondono semplicemente: «Voglio la mamma» e istintivamente, convulsamente, senza tanti preamboli, buttano fuori tutta quella loro disperazione, tutto quel loro rifiuto.
A quattro anni non strillano più per la mancanza momentanea della mamma, magari lo fanno perché vogliono il giocattolo che ha in mano il compagno, e senza tanta misericordia se lo prendono, il giocattolo, costi quel che costi. Ma a cinque-sei anni il bambino comincia ad analizzare, anche se in modo ancora molto rudimentale, il perché di quelle sensazioni, emozioni di gioia o di tristezza, di perdita o di abbandono, di desiderio o di rifiuto che brucia dentro di loro ed è allora che incominciano a percepire la sofferenza, il dolore, quel mondo altro-da-sé. Insomma, a quest'età il bambino incomincia a crescere fuori dal suo egocentrismo primario. Crescere è diventare sempre più consapevole di ciò che ti accade dentro. Si passa dall'essere un individuo estremamente istintivo e incontrollato a diventare un individuo sempre più riflessivo e controllato. Ma crescere è anche aprirsi a nuove avventure, nuove esperienze. E dunque... evviva il diventare grandi.
A proposito, a quella bimba ho ricordato che era del tutto normale sentirsi un po' tristi perché si lasciava la scuola, la maestra e i compagni che si conoscevano da tanti anni (per un bimbo di sei anni, tre anni sono tanti), ma che avrebbe conosciuto un'altra maestra che le avrebbe insegnato tante bellissime cose che Sinforosa non conosce nemmeno e che avrebbe incontrato tanti nuovi compagni con cui si sarebbe divertita tantissimo e poi, le ho detto:
«... verrai a trovarci e così ti farò conoscere i bimbi nuovi».
«Ma dopo loro si siedono sulle nostre panchine?».
«Certo. Quando sei arrivata tu e avevi tre anni, anche tu ti sei seduta sulle panchine dove si erano seduti altri bambini».
«Quelli che andavano in prima?».
«Sì, quelli che andavano in prima, come te, adesso». E mi ha abbracciato.
sinforosa castoro
non e' solo tristezza credo e' anche paura di cio' che non si conosce ancora
RispondiEliminaÈ vero, Claudia, è un misto di tristezza e paura di ciò che ancora non si conosce. Faccio di tutto perché i bambini tirino fuori anche queste emozioni, perché le emozioni sono tutte importanti e utili per diventare grandi.
EliminaUn abbraccio
sinforosa
A dimostrazione che se le cose si spiegano con parole semplici e chiare i bambini comprendono bene.
RispondiEliminaBuone vacanze maestra Sinforosa!
I bambini comprendono ma continuano a soffrire, nonostante la spiegazione.
EliminaTu che sei mamma lo sai bene quanto sia difficile veder soffrire la propria figlia, magari per una affetto non corrisposto o per una delusione, e poter solo dare spiegazioni senza per questo riuscire a toglierle la sofferenza.
Questa vita, purtroppo o per fortuna, ci fa vivere anche sofferenze che solo noi, e solo noi, possiamo risolvere.
Grazie mille Patricia.
sinforosa
Comprendere non vuol dire vedere passare tutto per incanto.
EliminaVuol dire ragionarci sopra e poco per volta rendersi conto che la vita, come dici tu, ci mette di fronte a cose piacevoli e ad altre brutte.
So cosa si prova quando ti trovi a combattere contro quel senso di impotenza che ti impedisce di miracolosamente far tornare felice a tua bimba.
Però la vita è questa. Piena di lezioni
Buona serata
La vita è questa, Patricia, e dobbiamo pazientare.
EliminaCome dici tu è già molto riuscire a comprendere, capire, accettare; questo è il lavoro della mamma, del papà e della maestra: cercare di aiutare a capire.
Buona serata
sinforosa
ti ammiro, io faticherei lasciare i bimbi con cui ho passato giorni e mi sono affzionata! un abbraccione e buone vacanze
RispondiEliminaCara Katia hai perfettamente ragione: non è facile.
EliminaI Bambini vivono con noi molte ore al giorno, per tutti i giorni e per ben tre o quattro anni.
Loro si confidano, ci raccontano, si mostrano per quello che vivono e noi suppliamo, ascoltiamo, parliamo e ragioniamo con loro.
È difficile separaci da loro, poi, a settembre, ecco che si compie il miracolo: uno stuolo di bimbi e bimbe che ci invadono, catturano il nostro cuore e... si ricomincia. Meraviglioso lavoro!
Un abbraccio
sinforosa
La capisco, Valeria. A volte si sottovalutano i sentimenti dei bambini. Certo, sono sentimenti in crescita ma non per questo meno veri e sofferti.
RispondiEliminaAnch'io ho bambine che mi hanno confidato la loro tristezza perché una compagna andrà in un'altra scuola.
Tesori!
Un abbraccio, Valeria, a te e alla tua piccola
sinforosa